Jan.01

La felicità della solitudine

La tensione iperconnettiva verso i social network porta in sè da un lato un’ansia di socializzazione e dall’altro una demonizzazione da isolamento (vedi anche voci autorevoli come quella di Jonathan Franzen su Sherry Turkle “Reclaiming Conversations” in NYT). Sono il primo ad analizzare questo fenomeno in tutti i suoi rischi, anche se il rischio maggiore che comincio a intravedere ora, sia in chi usa i social network sia in chi li critica e demonizza, è la paura della solitudine. Si parla molto dei rischi e della paura della solitudine e poco invece della necessità della solitudine. La solitudine è l’incontro con la persona più importante della mia vita e della mia realtà: me stesso. Un momento per far venire a galla le emozioni che proviamo in rapporto a situazioni, persone, realtà e metabolizzarle, rielaborarle per poterci poi relazionare nuovamente all’esterno. Una solitudine propedeutica alla socializzazione quindi, che si predispone di nuovo al rapporto con l’altro e che non per forza va a rinchiudersi in un isolamento egoriferito. Utilizzare i social network fa leva su questo processo e forse lo aiuta, perché è un processo assolutamente solipsistico, per niente sociale, che ci pone in un limbo sospeso di virtualità sociale dove possiamo guardare le relazioni, la nostra realtà dall’esterno e indagarla dentro di noi. Per questo sbagliano tanto gli integrati nel pensare che sia veramente un’attività sociale, quanto gli apocalittici nel pensare che sia veramente un’attività che porta a un disastroso isolamento: abbiamo mai provato a pensare per una volta che l’attività sui social network, solo per il fatto che si chiama social, non debba essere incasellata nella dimensione umana della socializzazione, quanto invece in quella interstiziale di una sana, ordinaria e feconda solitudine?

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About oogo

Conosciuto anche come Oogo, che era l'unico modo di far pronunciare il suo nome a un computer con i fonemi inglesi nel 1989, è affetto dalla sindrome di Peter Pan e ritiene che per essere Grandi non bisogna essere per forza grandi. Ha scritto un sacco di storie per i bambini digitali a partire da "Wolfgang il Cyberlupo" (Mondadori, 1995), ma solo una per i bambini di carta: "Sybo il mio amico stratosferico" (Edizioni Paoline, 2010). È Head Of Design e Partner di Koo-koo Books e insegna pure all'Università (Antropologia Culturale dei Media Digitali).

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